Sponsorizzazioni: deducibili se inerenti

Sentenza della CTP di Reggio Emilia

Le sponsorizzazioni sportive sono deducibili soltanto se c’è un nesso tra l’attività economica esercitata dal soggetto erogatore e la capacità della società sportiva beneficiaria di promuoverne l’immagine. L’inerenza richiesta dall’articolo 109 del TUIR deve essere accertata non solo in ordine al reddito, ma anche all’attività stessa dello sponsor.

La sentenza. È questo emerge dalla sentenza n. 116/4/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia.

La rettifica. La questione ha riguardato una società specializzata nel settore degli impianti di depurazione e dei servizi ambientali, oppostasi a una rettifica di oltre un milione di euro. Tra le numerose contestazioni del Fisco vi era anche quella relativa all’indebito ammortamento di un fabbricato ritenuto non strumentale alla deduzione giudicata illegittima dei costi di pubblicità conseguenti a contratti di sponsorizzazione pubblicitaria sottoscritti con due associazioni sportive dilettantistiche locali. Ciò perché la quasi totalità della clientela della società era costituita da enti pubblici e imprese private, tanto da risultare inverosimile la capacità delle sponsorizzazioni di attrarre nuovi clienti.

La tesi del contribuente. Dal punto di vista della contribuente invece, la deducibilità doveva essere riconosciuta, in quanto “l’inerenza non deve essere funzionale al reddito ma all’attività dell’impresa”. In ogni caso, la deducibilità era assicurata dal comma 8 dell’articolo 90, della Legge n. 289/2002 (Finanziaria 2003), che prevede per le spese di sponsorizzazione sostenute nei confronti di associazioni e società sportive dilettantistiche la presunzione assoluta che esse siano di pubblicità, fino un massimo di 200 mila euro annui. Le spese in parola, quindi, sono deducibili, qualora ricorrano due condizioni: gli oneri devono essere destinati a promuovere l’immagine del soggetto erogante e deve essere riscontrata una specifica attività del beneficiario in questo senso.

La CTP. Ebbene, la CTP di Reggio Emilia ha parzialmente accolto il ricorso della contribuente. Le riprese fiscali confermate dai giudici per costi di sponsorizzazioni ritenuti non inerenti sono ammontate a 300 mila euro.

Conguaglio IMU con doppio conteggio

Entro il 17 dicembre 2012 deve essere versato il saldo IMU, che va calcolato a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulla prima rata.
In via generale, si ricorda che il versamento dell’acconto dell’IMU per l’anno 2012 doveva essere effettuato, entro il 18 giugno 2012, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in misura pari al 50% dell’importo ottenuto applicando le aliquote di base (0,4% per l’abitazione principale e relative pertinenze e 0,76% per gli altri immobili) e le detrazioni previste (200 euro per l’abitazione principale più 50 euro per ogni figlio di età inferiore ai 26 anni). Pertanto, mentre per il calcolo dell’acconto IMU sono state applicate le aliquote e la detrazione di base, per il versamento del saldo di dicembre i contribuenti dovranno monitorare attentamente i regolamenti e le delibere definitivamente assunte dai singoli Comuni (si ricorda, infatti, che i Comuni avevano tempo fino al 31 ottobre 2012 per approvare o modificare il proprio regolamento, e deliberare in relazione alle aliquote e alla detrazione del tributo).

I versamenti dell’IMU sono effettuati utilizzando il modello F24. In aggiunta al modello F24, dal 1° dicembre 2012 potrebbe essere possibile provvedere al versamento mediante l’utilizzo del bollettino postale, ma ad oggi non è stato ancora approvato.

L’art. 13 comma 11 del DL 201/2011 stabilisce che è riservata allo Stato la quota pari al 50% dell’IMU calcolata applicando alla base imponibile degli immobili l’aliquota di base dello 0,76% (nessuna quota dell’IMU spetta invece allo Stato per le abitazioni principali e le relative pertinenze, per i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all’art. 9 comma 3-bis del DL 557/93, conv. L. 133/94, per gli immobili posseduti dai Comuni nel loro territorio e per gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazioni principali dai soci assegnatari nonché per gli alloggi assegnati dagli IACP).

La quota di imposta che deve essere destinata allo Stato va versata contestualmente all’IMU.
È evidente che, per tutti gli immobili per i quali sussiste la riserva di gettito a favore dello Stato, i contribuenti dovranno effettuare un duplice calcolo e un duplice versamento per le quote di rispettiva spettanza del Comune e dello Stato.
Gli interessi e le sanzioni da versare in seguito all’accertamento, invece, spettano interamente all’ente locale (lo si evince anche dai codici tributo).

Con la quota statale il calcolo è doppio

Si ipotizzi un’unità immobiliare accatastata in A/4, adibita a “seconda casa” con relativo box pertinenziale.
L’imposta dovuta per l’anno 2012 è versata in due rate.
La prima rata (entro il 18 giugno 2012), senza applicazione di sanzioni ed interessi, in misura pari al 50% dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base (0,76% per gli immobili che non sono destinati ad abitazione principale), la seconda rata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulla prima rata.
Per tali immobili sarà necessario calcolare distintamente la quota dell’IMU destinata allo Stato (pari alla metà quota dell’importo calcolato applicando alla base imponibile l’aliquota di base) e la quota destinata al Comune.

Rendita catastale abitazione rivalutata: 850 euro;
Base imponibile IMU: 850 euro * 160 = 136.000 euro;
Rendita catastale box rivalutata: 120 euro;
Base imponibile IMU: 120 euro * 160 = 19.200 euro;
Base imponibile IMU totale: 136.000 euro + 19.200 euro = 155.200 euro.

Calcolo dell’acconto IMU da versare per l’anno 2012 (aliquota di base 0,76%): 155.200 euro * 0,76% = 1.179,52 euro : 2 = 589,76 euro di cui:
– 294,88 euro per la quota statale (arrotondato a 295 euro);
– 294,88 euro per la quota comunale (arrotondato a 295 euro).

Si supponga che il Comune abbia deliberato per le “seconde case” l’aliquota massima dell’1,06%.
L’IMU dovuta per l’anno 2012 è pari a: 155.200 euro * 1,06% = 1.645,12 euro di cui:
– 589,76 euro da destinare allo Stato (294,88 euro * 2);
– 1.055,36 euro da destinare al Comune.

In sede di versamento del saldo IMU, quindi, dovranno essere versati:
– 295 euro per la quota Stato (589,76 euro – 295,00 euro arrotondato all’unità di euro) (codice tributo 3919);
– 760 euro per la quota Comune (1.055,36 euro – 295,00 euro, arrotondato all’unità di euro) (codice tributo 3918).

Omaggi integralmente deducibili sotto i 50 euro

Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, torna d’attualità, crisi permettendo, il tema degli omaggi distribuiti dalle imprese.

Anticipando che il trattamento fiscale non ha subìto modifiche nell’ultimo anno, pare comunque opportuno fornire un riepilogo della disciplina.
Il presente intervento è, quindi, il primo di una serie di approfondimenti sulla tematica in oggetto con l’obiettivo di dare risposta alle domande più frequenti formulate dai nostri clienti.

In via preliminare occorre tenere presente, con riferimento agli omaggi distribuiti a clienti, che l’art. 108 comma 2 del TUIR dispone che gli acquisti di beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50 euro sono sempre interamente deducibili, a prescindere dal rispetto dei requisiti previsti dal DM 19 novembre 2008 per le spese di rappresentanza.

Al fine di verificare il rispetto o meno di tale limite, il valore non deve intendersi riferito al costo dei singoli beni, bensì all’omaggio nel suo complesso. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 34/2009 (paragrafo 5.4), il valore deve essere, infatti, considerato unitariamente e non con riferimento ai beni che compongono il regalo. In sostanza, nel caso di un cesto natalizio composto da tre diversi beni di valore unitario pari a 20 euro ciascuno, l’omaggio ha un valore complessivo pari a 60 euro e, in quanto tale, non integralmente deducibile.

Tale interpretazione consente di evitare che il contribuente possa acquistare singolarmente, al fine di cederli gratuitamente, beni di costo inferiore a 50 euro, per poi comporli in confezioni da consegnare al cliente, eludendo così il dettato normativo. Se, invece, alla stessa persona vengono regalati più beni di valore unitario non superiore a 50 euro, è possibile applicare la deduzione integrale purché gli omaggi siano confezionati singolarmente.

Una questione ancora in sospeso, poi, riguarda la locuzione “valore”. Alcuni sostengono, infatti, che per “valore” del bene debba intendersi il valore normale di cui all’art. 9 del TUIR, altri che debba intendersi il costo sostenuto per l’acquisto o la produzione dello stesso. Tale questione, a ben vedere, riguarda principalmente ibeni autoprodotti dalle imprese; qualora si considerasse rilevante il valore normale, nel caso in cui i beni presentino un costo di produzione inferiore a 50 euro, ma un prezzo di listino superiore a tale limite, gli stessi non potrebbero fruire della deducibilità integrale.

Sulla base di quanto affermato dalla circ. Assonime 9 aprile 2009 n. 16 e dalla circ. Agenzia delle Entrate 24/2009 (paragrafo 5.4), il parametro di riferimento dovrebbe essere costituito dal costo d’acquisto o di produzione del bene, comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110, comma 1 lett. b) del TUIR.
Tra gli oneri accessori da tenere in considerazione ai fini del calcolo del valore del bene, figura anche l’IVA indetraibile. Al riguardo, si ricorda che, in caso di beni non rientranti nell’attività propria d’impresa, l’IVA può essere detratta soltanto con riferimento agli acquisti di omaggi di costi inferiore a 25,82 euro ex art. 19-bis1, comma 1 lett. h) del DPR 633/72.

Di conseguenza, per gli acquisti di valore superiore a tale limite, l’IVA, essendo indetraibile, deve essere sommata all’imponibile al fine di individuare il valore unitario effettivo dell’omaggio.
Per quanto sopra, il costo dei beni distribuiti gratuitamente il cui prezzo è assoggettato ad IVA sono integralmente deducibili ai fini delle imposte sui redditi soltanto nel caso in cui l’imponibile IVA non sia superiore a:
– 48,08 euro, se l’aliquota IVA è pari al 4%;
– 45,45 euro, se l’aliquota IVA è pari al 10%;
– 41,32 euro, se l’aliquota IVA è pari al 21%.

Oltre 50 euro, deducibili come spese di rappresentanza

Nel caso in cui i beni ceduti gratuitamente abbiano valore superiore a 50 euro, le relative spese sostenute per l’acquisto sono considerate spese di rappresentanza e, in quanto tali, deducibili nell’esercizio di sostenimento nel rispetto dei limiti di congruità e inerenza previsti dal DM 19 novembre 2008, vale a dire:
– 1,3% dei ricavi e proventi della gestione caratteristica, fino a 10 milioni di euro;
– 0,5% dei suddetti ricavi, per la parte compresa tra 10 e 50 milioni di euro;
– 0,1% dei suddetti ricavi, per la parte eccedente 50 milioni di euro.

A mero titolo esemplificativo, si consideri un’impresa che, nel periodo d’imposta 2012, ha conseguito ricavi e proventi della gestione caratteristica pari a 70 milioni di euro. Le spese di rappresentanza deducibili saranno pari a 350 mila euro, risultanti dalla sommatoria tra 130.000 euro sui primi 10 milioni, 200.000 euro sui successivi 40 milioni e 20.000 euro sui restanti 20 milioni.

Qualora la società sostenga spese di rappresentanza per 500 mila euro, di cui 10.000 euro per omaggi di valore non superiore a 50 euro, queste ultime saranno interamente deducibili, mentre le restanti spese di rappresentanza pari a 490 mila euro saranno deducibili soltanto fino al limite di 350.000 euro (soglia di congruità come sopra calcolata).

Stretta su auto e… autocarro

La stretta sulle auto colpisce anche l’autocarro che non supera i parametri previsti dal provvedimento del 6 dicembre 2006

Premessa – La “Riforma Fornero” ha previsto la riduzione dal 40% al 27,5% della deducibilità del costo di auto utilizzate nell’esercizio d’impresa e nell’attività professionale. Il disegno di legge di Stabilità 2013 prevede un’ulteriore riduzione dal 27,5% al 20%. Tale riduzione riguarda anche i finti autocarri che non superano i parametri previsti dal provvedimento del 6 dicembre 2006.

Il provvedimento – Il provvedimento, protocollato col numero 2006/184192 e firmato dal direttore dell’Agenzia il 6 dicembre, aveva fissato i criteri con i quali “smascherare” i finti autocarri. Il provvedimento aveva individuato gli autocarri da trattare fiscalmente come vetture utilizzando i seguenti tre criteri: il codice di carrozzeria del veicolo deve essere “F0” (effe zero); il numero di posti deve essere di almeno quattro; il rapporto tra la potenza del motore e la portata del veicolo (calcolata sottraendo dalla massa complessiva del veicolo la sua massa a vuoto) deve essere uguale o superiore a 180.

Classificazione
– Gli autocarri che rispondono a tutti e tre i criteri sono fiscalmente equiparati alle autovetture. Tutti i dati appena citati sono riportati sulla carta di circolazione, per cui tutti i possessori di vetture immatricolate come autocarri possono verificare se rientrano nella stretta. In particolare, il codice carrozzeria è visibile sul documento alla voce “J.2” e, nel caso sia “F0”, è accompagnato dalla dicitura “Furgone”.

Codici carrozzeria
– Il problema è che ci sono “finti autocarri” sulla cui carta di circolazione sono riportati codici di carrozzeria diversi: per esempio, i codici “G1” (furgone vetrinato) o addirittura “AF” (un codice non previsto per gli autocarri, che riguarda le vetture monovolume). Questo sembra dovuto soprattutto al fatto che negli anni passati, quando la possibilità di eludere il Fisco con i “finti autocarri” attirava molti clienti, alcuni operatori proponevano anche vetture classificate come autocarro in base a un’immatricolazione come esemplare unico (giustificata da una trasformazione, perlopiù limitata al montaggio di una grata divisoria tra abitacolo e bagagliaio e all’eliminazione della cintura di sicurezza posteriore centrale). Questa immatricolazione è effettuata da ogni ufficio provinciale della Motorizzazione, che poi compila i documenti seguendo una prassi che non è detto sia uguale dappertutto.

Trattamento fiscale – Indipendente dalla categoria di immatricolazione, i veicoli che rispettano tali requisiti sono da assoggettare al regime proprio degli autoveicoli di cui al comma 1, lettera b), dell’art. 164 del Tuir. Alla luce delle novità portate dalla “Riforma Fornero” e dall’ulteriore stretta in arrivo nella legge di Stabilità anche tali vetture dal 2013 vedranno ridursi la percentuale di deducibilità dal 40% al 27,5% o perfino al 20%.

Deducibilità piena per l’auto strumentale

La forzatura del concetto di strumentalità porta a considerare tali solo quei veicoli senza i quali l’attività non può essere esercitata

Premessa – Vanno considerati veicoli “strumentali” solamente quelli “senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata”. Solo tali veicoli e quelli a uso pubblico godono della deducibilità piena.

Deducibilità piena – L’art. 164, comma 1, lett. a) del Tuir prevede la completa deducibilità fiscale delle spese e degli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni destinati a essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa. Sono inoltre interamente deducibili i veicoli adibiti a uso pubblico.

Modalità di acquisto
– La deducibilità totale del costo dei mezzi che rientrano nelle categorie appena citate vale in caso di acquisto del mezzo di trasporto, in caso di leasing e, infine, in caso di noleggio. Pertanto, a prescindere dal modo in cui l’azienda possiede il bene, se si tratta di un mezzo di trasporto che rientra in una delle ipotesi disciplinate dall’art. 164, comma 1, lett. a), del Tuir, la deducibilità dei costi inerenti il veicolo medesimo era ed è pari al 100%.

Auto strumentale – Circa il concetto di strumentalità, l’Amministrazione Finanziaria è intervenuta forzando in modo del tutto sproporzionato tale nozione. In particolare nelle CC.MM. 13 febbraio 1997, n. 37/E e 10 febbraio 1998, n. 48/E, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che vanno considerati quali veicoli “utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa” quelli “senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata”, come, ad esempio, le autovetture possedute dalle imprese di noleggio. Tale interpretazione è stata ribadita anche nelle CC.MM. 19 gennaio 2007, n. 1/E e 16 febbraio 2007, n. 11/E.

Limitazione – Tale interpretazione è stata fortemente criticata, in quanto non consente l’integrale deducibilità delle spese relative a veicoli il cui utilizzo ha, comunque, un collegamento, seppure non diretto, con la produzione dei ricavi. Infatti, circoscrivendo, ai fini della strumentalità, il concetto di “utilizzo” ai soli casi in cui il conseguimento dei ricavi caratteristici dell’impresa dipenda direttamente dall’impiego del veicolo, si esclude la possibilità di dedurre tutti quei costi inerenti a un veicolo che, seppur indirettamente, è comunque necessario per lo svolgimento di alcune fasi della produzione o della commercializzazione di beni o servizi.

Irrilevanza di altre fattispecie – L’indeducibilità dei costi relativi ai veicoli utilizzati per visitare i clienti è stata, peraltro, affermata dall’Agenzia delle Entrate nella R.M. 23 marzo 2007, n. 59/E, nella quale è stata sostenuta l’irrilevanza delle concrete modalità di organizzazione dell’attività dell’impresa addotte a giustificazione della necessità dell’utilizzo dei veicoli, quali l’assenza di locali destinati alla vendita, l’effettuazione delle prestazioni di vendita in forza di mandati di agenzia e l’utilizzo delle autovetture da parte del personale dipendente esclusivamente per svolgere le dette prestazioni di vendita. Nella C.M. 12 giugno 2002, n. 50/E è stato altresì chiarito che non sussiste il requisito della strumentalità nell’attività propria dell’impresa nel caso di autovetture, allestite all’esterno con messaggi pubblicitari e marchi d’impresa e utilizzate da una società operanti nel campo della mediazione immobiliare.

Deduzione dei costi per auto concesse in uso promiscuo

I limiti al costo fiscale previsti per i veicoli aziendali in genere valgono anche per le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti?

Per le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti, l’art. 164 co. 1 lett. b-bis) del TUIR dispone che i relativi costi sono deducibili “nella misura del 90% per i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta “.

Il limite di deducibilità verrà ridotto dal 90% al 70% a decorrere dal 2013 (soggetti “solari”).

Nel caso di specie non si applicano i limiti al costo fiscale previsti per i veicoli aziendali in genere.

Esempio:
Un’autovettura dal costo di 50.000 euro data in uso promiscuo al dipendente è deducibile anche per il costo che eccede i 18.075,99 euro. Analogo discorso per leasing e noleggio.
Per quanto riguarda le autovetture in uso promiscuo agli amministratori, risultano attuali le indicazioni della circ.Agenzia delle Entrate26.1.2001 n. 5/E (§ 10), in base alla quale per tale ipotesi devono applicarsi le regole previste dalla lett. b). Occorre peraltro ricordare che, secondo la C.M. 48/E/1998 (§ 2.1.2.1), il compenso in natura relativo

Perdite su Crediti: fino a 2.500/5.000 euro subito stralciabili

In vista delle chiusura dell’esercizio, le società solitamente adottano degli interventi per ottenere la deducibilità degli oneri, derivanti dal mancato incasso dei crediti iscritti nell’attivo patrimoniale.
Il confronto del consulente con il proprio cliente sul tema è, poi, sempre complicato, in quanto il contribuente non accetta di dover pagare imposte su ricavi mai incassati.
E allora ecco che andiamo a dimostrare che il nostro sistema tributario è improntato al principio di competenza e non di cassa (salvo necessarie eccezioni). Ma per redigere i bilanci 2012 i consulenti potranno tenere in considerazione anche le nuove fattispecie introdotte dal D.L. n. 83/12, c.d. Decreto Sviluppo, che in tale ambito danno un certo sollievo fiscale.

Le rilevazioni a conto economico – Il costo derivante dal mancato incasso di un credito perché sia deducibile deve transitare a conto economico, secondo il principio di derivazione, dunque va rilevato nella voce dell’accantonamento a Fondo svalutazione (B 10 d.) o della perdita su crediti (B 14.), ove l’accantonamento riflette una perdita temuta, mentre la voce della perdita su crediti riflette una perdita certa.
Il documento interpretativo dell’OIC 12 stabilisce come in 4 casi sia possibile utilizzare direttamente la voce B14. del conto economico: riconoscimento giudiziale di un minor importo del credito, perdite da cessione dei crediti, perdite derivanti da transazioni e perdita conseguenti a prescrizione dei crediti.

La deducibilità fiscale – Fiscalmente vi sono due alternative possibili per il contribuente: l’art.106 co. 1 e 2 del Tuir consente la deduzione dell’accantonamento fino allo 0,5% del valore nominale (o di acquisizione) dei crediti con il plafond del 5% dei crediti risultanti in bilancio; l’art. 101 co.5 del Tuir consente la deduzione delle perdite se esse risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Procedure o elementi certi che devono realizzarsi entro il 31 dicembre 2012, se si intende dedurre l’onere nel modello Unico 2013, riducendo il saldo Ires del 16 giugno prossimo. Non è invece rilevante, per l’anno in corso, una procedura dichiarata nel 2013, anche se nel periodo anteriore alla predisposizione del bilancio.
Il Decreto Sviluppo interviene sull’art. 101 co.5 e, al di là delle novità apportate in caso di procedure meta concorsuali, dà la possibilità per crediti di modesto importo o prescritti, di operare una deduzione immediata, senza necessità di ulteriori formalità.
Escludendo i casi di procedure concorsuali, il creditore deve dimostrare l’irrecuperabilità del credito mediante atti, che vanno compiuti entro il 31 dicembre 2012, rimasti infruttuosi, la cui ampiezza varia in relazione all’importo del credito (intimazione dell’avvocato, atto di precetto, decreto ingiuntivo, pignoramento, ecc.). Tali atti non sono necessari, comunque, se alla chiusura dell’esercizio il diritto di riscuotere il credito risulta prescritto in base al codice civile.
Decidere se avviare, prima di fine anno, azioni incisive al solo fine di ottenere la deducibilità, oggi implica uno screening del valore dei crediti iscritti.
La possibilità di stralciare, senza ulteriori prove, i crediti di ammontare non superiore a 2.500 euro (5.000 euro per le imprese con ricavi superiori a 150 milioni) che, alla data del 31 dicembre 2012, risulteranno scaduti da oltre sei mesi.

I dubbi – Non è chiaro ancora se il limite dei 2.500/5.000 euro è da riferirsi all’importo del credito e non al debitore, dunque se sia possibile dedurre perdite anche superiori alla soglia se formate da crediti singolarmente inferiori. Si attende una conferma ufficiale. La deduzione, previo transito dal conto economico, potrà comunque essere operata anche qualora si ritenga di procedere con atti volti al recupero del credito.
Altra questione riguarda la possibilità di lasciare in quiescenza il credito e di procedere a svalutarlo civilisticamente e dedurlo fiscalmente solo nel 2013.
I bilanci delle società non hanno a oggi, infatti, necessità di dedurre costi, ma magari di trasferirli ad anni si spera più produttivi.

Remissioni del credito – Per i crediti che superano i limiti sopra indicati, la certezza della perdita potrà essere dimostrata con la stipula di accordi stragiudiziali, con cui si rinuncia anche parzialmente al credito, a fronte dell’incasso del residuo importo. In questi casi, i verificatori valuteranno la documentazione per capire se l’importo recuperato è il massimo possibile in base alle disponibilità patrimoniale del debitore. Se la transazione deriva da irregolarità della fornitura e non dall’insolvenza del cliente, essa genera una sopravvenienza passiva deducibile, anche ai fini Irap e senza utilizzo del fondo ex art. 106 del Tuir.